CFP: L'ontologia delle relazioni e la filosofia analitica delle religioni

Submission deadline: July 15, 2016

Conference date(s):
November 16, 2016 - November 17, 2016

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Conference Venue:

Department of Philosophy, Fondazione Centro Studi Campostrini & Università degli Studi di Verona
Verona, Italy

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Tema del convegno. Obiettivo dell’evento è discutere se e come la nozione di relazione sviluppata nella ricerca ontologica, teologica e relativa alla soggettività, debba essere impiegata nell’ambito disciplinare della filosofia analitica della religione. Il convegno è suddiviso in tre aree tematiche: a) Ontologia delle relazioni e ontologia relazionale; b) Natura relazionale della soggettività; c) Cosmologie e teofilosofie relazionali.


Relazioni. Come formulare un’ontologia relazionale? Se esistono una pluralità di relazioni (spaziale, causale, affettiva, sociale…) e una relazione logica non è una relazione descrittiva, è indispensabile definire che tipo di relazioni esistono, e in che senso esse siano “reali”. Fino a che punto la relazione modifica i relata? Quali sono le relazioni necessarie? La distinzione tra relazioni esterne e interne è difendibile? Oppure tutte le relazioni sono apparenti? 

Seguendo Russell si può definire idealismo la tesi che tutte le relazioni siano interne, ed empirismo la tesi che (almeno alcune) relazioni siano esterne ed irriducibili alle sole proprietà delle sostanze. Secondo questa caratterizzazione, l’idealismo è una forma di olismo in cui tutto è identità e la differenza è solo apparente, mentre l’empirismo è una forma di pluralismo ontologico fondato dalla natura reale della relazione.

Tuttavia, si può concepire l’intima connessione di tutte le cose, senza ricadere in una concezione monista o panteista? Oppure sono proprio queste due le forme ultime della realtà, oltre l’apparente ipostatizzazione degli oggetti? Se le relazioni sono ontologicamente primarie, se tutto è inter-relazione, esiste una distinzione reale tra gli enti? Quali sono le problematiche circa la dipendenza ontologica, l’identità relativa, la vaghezza, sollevate dall’ontologia relazionale? Se tutto è interconnesso, come possiamo definire l’identità di qualcosa?

A spingere nella direzione di una “relazionalità intrinseca” sono anche le acquisizioni più innovative nel campo della fisica, le quali parrebbero invocare un ripensamento della nostra ontologia. In che misura la fisica solleva domande per la teoria della relazione? Gli oggetti emergono dalle relazioni? Questo significa davvero che le relazioni sono ontologicamente primarie? Quante e quali sostanze primitive ci sono? I quarks sono ‘immateriali’? Cosa resta del realismo ontologico in un’ontologia relazionale? Come vengono ripensati i criteri d’identità, e come possiamo costruire un’ontologia sulla nozione (spesso fuggevole) di ‘evento’? Gli elettroni sono dei quasi-oggetti e quasi-sortali? L’ontologia relazionale implica una forma di relatività ontologica? Che tipo di dipendenza ontologica c’è alla base delle particelle elementari? E che tipo di relazionalità e di causalità? 

Cosmologie e teo-filosofie. Come pensare Dio, il mondo, e la loro relazione? Se la relazione non è un aspetto accidentale di un ente, ogni realtà si caratterizzerebbe per una capacità di autorelazione e per la capacità di relazionarsi con enti esterni. Vi è, dunque, una stretta analogia tra la struttura del reale che oggi conosciamo e l’essenza trinitaria di Dio? Fino a che punto possiamo spingere questa analogia? La Trinità intesa come sovraessenzialità, in cui essere e relazione coincidono, è una necessità speculativa filosofica prima ancora che teologica? Che prospettive apre, per il teismo, questa “concordanza”?  E per la scienza fisica? Se essa si spinge a ipotizzare una natura relazionale delle particelle elementari, cessa di essere “scienza pura”, sconfinando nella filosofia e nella teologia? Altre religioni, o sistemi di pensiero non-occidentali, cosa possono dire a riguardo? Possono aiutarci a incamminarci in modo più sicuro verso un’ontologia relazionale? Al prezzo di rinunciare al nostro approccio analitico? Fino a che punto, e con che figure di pensiero innovative? Abbiamo argomenti veramente cogenti per affermare – sola rationem – la realtà delle relazioni in Dio? Come dovremmo dunque pensarle, filosoficamente? Quale analogia è possibile formulare tra esse e le relazioni di dipendenza Dio-mondo?

Soggetti. Cosa significa che il soggetto esiste solo in relazione? L’essere umano è un essere in relazione, attraverso il suo linguaggio e attraverso il suo corpo. La vita stessa sembra essere un concetto intrinsecamente relazionale, non solo perché implica di pensare un principio vitale (qualsiasi sia la sua natura) in rapporto a un corpo materiale, ma perché l’organismo stesso emerge come un tutto dalla relazione delle sue parti. Qual è, dunque, il rapporto tra natura e cultura, tra individuo e società, tra sussistenza e relazioni d’origine? In che senso la sessualità e la corporeità sono realtà umane relazionali per eccellenza? Davvero il soggetto sussiste solo nell’estroversione e nella dinamica Io-tu? In che modo filosofia e teologia s’influenzano reciprocamente, e fino a che punto è possibile spingere i rimandi analogici? Fino a che punto la dissoluzione della metafisica della sostanza coinvolge la definizione classica della persona come rationalis naturae individua substantia?

Spunti conclusivi. L’argomentazione ontologica e metafisica sul divino, sulla realtà fisica e sull’umano può condurre a considerare l’inadeguatezza del nostro linguaggio. Una riflessione su quest’ultimo – un punto nevralgico di tutte le discussioni analitiche su Dio – quindi, s’imporrà anche in questo consesso: come può l’apofatismo essere integrato all’interno della filosofia analitica della religione, quali siano i livelli minimi che permettono a un teismo di essere razionale, coerente e rilevante? Tra questi ultimi, vi è anche la capacità di sviluppare un’ontologia che dia conto della struttura fisica del reale?

Sono numerose le domande che s’affacciano sulla nostra contemporaneità, sulle quali il Convegno vuole timidamente cominciare a fare il punto, anche attraverso i contributi pervenuti tramite questo Call for abstracts. Ed altre potrebbero aggiungersi: perché si è sviluppata un’indagine sulla Trinità nella filosofia analitica della religione? Nasce per difendere un dogma e la sua rilevanza razionale? Oppure risponde a esigenze metafisiche più profonde? Quale altra definizione metafisica di Dio e della sua essenza è possibile elaborare in chiave trinitaria? Le nuove ipotesi scientifiche (dalla quantistica, alla relatività, alle stringhe) possono contribuire a darci delle indicazioni per formulare un’ontologia nuova, un’ontologia relazionale, grazie alla quale non solo possiamo rendere conto del reale, ma armonizzare tale spiegazione con il Principio che, in un sistema teistico, ne è il fondamento? Se nemmeno la struttura fondamentale degli enti creati è conoscibile del tutto, vi è spazio per un’ontologia negativa? Essa converge o confligge con l’ipotesi teistica?

L’ontologia relazionale pone enormi interrogativi, e forse ciò che si comincia a percepire come necessaria è un’operazione di sintesi, critica ma capace di delineare in modo ordinato gli sviluppi di questo campo d’indagine, i suoi rapporti con altre discipline, in primis la Filosofia Analitica della Religione, perennemente in relazione con le elaborazioni metafisico-ontologiche sulla realtà e sul divino. Non da ultima, la domanda da porsi è se abbiamo davvero bisogno di una nuova ontologia. In una battuta: perché, cos’è e dove va l’ontologia relazionale?

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